Canto V

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Jacopo del Cassero

Il viaggio per terra, lungo la via Emilia e i territori di dominio del marchese, si prospettava denso di pericoli, perché si poteva supporre che, pur a distanza di oltre un anno dalla sua partenza da Bologna, la volontà di vendetta dell’Estense non fosse caduta; di ciò il D. era perfettamente avvertito. Per questo scelse per recarsi a Milano, la via del mare fino a Venezia. Da Fusina risalì in barca il Brenta, ma a Oriago fu raggiunto e trucidato, mentre saliva a cavallo, dai sicari di Azzo VIII, complici – come sembra probabile – il signore di Treviso Gerardo da Camino e suo figlio Rizzardo. Esecutore materiale del delitto fu un certo Marco da Mestre che atterrò il D. a colpi di roncone, forse agli inizi del 1298.
Fu ucciso nel territorio padovano, dove riteneva di essere al sicuro; grazie a tradimento, allora, come ci pare sottolinei l’epigrafe sepolcrale: “Probitas exhausta testatur debita cani… Perditur ha gloria, nisi prodant crimina canum” (Castellani, I.D., p. 62). Ma tradimento di chi? Di Malatestino, dei Carignano di Fano, di un informatore appartenente alla sua scorta? O dello stesso Matteo Visconti, che dopo il fatto accettò di far pace con l’Estense – fino ad allora era stato suo aperto nemico – e non vendicò l’uccisione di uno già eletto, e quindi a pieno titolo, podestà di Milano? Non ci sono pervenuti sufficienti elementi di interpretazione; resta un alone di misterioso tradimento.
Il corpo del D. fu riportato a Fano e con solenni onori sepolto nella chiesa di S. Domenico, nel lato sinistro dell’ingresso. Del sepolcro ci resta l’epigrafe di sedici versi leonini.

Epigrafe di Jacopo del Cassero

Epigrafe di Jacopo del Cassero

“ITALIE SIDUS MARTIN(US) COPIA LEGU(M) |
FIDUS DOCTOR(UM) CO(N)SCIA REGU(M) |
INCLITA CUI PROLES DE QUA PROCESSIT AMENUS |
FLOS DECUS ET SOL ES PATRIE ROS ATQ(UE) SERENUS |
SOL TENEBRAS PATITUR PROSERPINA LUCE DEHISCIT |
DUM IACOBUS MORITUR DE CASSERO TRISTA FIXIT |
ATROPOS INFAUSTA DEPLORANT MENIA FANI |
PROBITAS EXHAUSTA TESTATUR DEBITA CANI |
EOLUS O UTINA(M) PERFLASSET CARBASA RETRO |
VECTUS PATAVIA(M) CADERET NON LIMITE TETRO |
PUGNET BONONIA CONSURGAT MEDIOLANUM |
PERDITUR HA GLORIA NISI P(ER)DA(N)T CRIMINA CANUM |
ANNIS SUB MILLE DUO DE TRECENTIS EVENIT |
MILII DUX ILLE STRENUUS QUOD MISERE VENIT |
HIC IACET INFODITUR UBI CORDE SEMPER ADHESIT |
THEOTOCOS IGITUR UT REGNET MINIME DESIT”

“Martino, astro d’Italia, arca di sapienza giuridica, fu sicuro interprete di quelle conoscenze di leggi che già i principi dei dotti possedevano. Dalla sua stirpe discese un’illustre progenie, vero fiore delizioso, decoro, luce della patria e linfa benefica. Quando Atropo assolse al suo compito triste e Iacopo del Cassero muore, il sole si oscura e la luna coperta da un cupo velo perde a poco a poco la sua luce; le mura di Fano per l’infausto evento risuonano di pianto; la Probità, per essere stata annientata, esige che il cane traditore paghi per le sue pene meritate. Ah! Avesse voluto il cielo che Eolo, soffiando da dietro avesse spinto le vele verso Padova! Egli non sarebbe caduto nel triste regno dei morti! Infuri la battaglia per tutta Bologna, insorga Milano. Ah! Per la gloria è una perdita, se non si puniscono i crimini dei cani traditori. Era l’anno milleduecentonovantotto quando avvenne che quel valoroso condottiero di mille soldati tornò miseramente in patria. Qui giace sepolto e qui resti sempre vivo nel cuore di tutti. La madre di Dio, pertanto, non manchi mai di tutelare il di lui diritto al regno celeste”.

La battaglia di Campaldino

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Buonconte da Montefeltro

Henry Fuseli Buoncante da Montefeltro c.1774–8 Pen and ink and wash 475 x 353 mm © Copyright the Trustees of The British Museum

Henry Fuseli
Buonconte da Montefeltro c.1774–8
Pen and ink and wash 475 x 353 mm
© Copyright the Trustees of The British Museum

Pia dei Tolomei

Castel di Pietra e il Salto della Contessa

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«Ricordati di me», il mistero di Pia de’ Tolomei. 
Dante indaga su un triangolo d’amore con omicidio: il mandante è il marito, innamorato di un’altra

Carlo Lucarelli, “Corriere della Sera”, 9 luglio 2004

«Abbiamo poco tempo ». Dante guardò Virgilio che già si stava allontanando nella folla, ma gli volgeva le spalle e quindi, forse, qualche secondo ce l’ aveva ancora. «Sei Pia de’ Tolomei» disse, e la ragazza sorrise, un sorriso pallido, evanescente e rapido, ma sì, era un sorriso. «Lo ero» disse. «Adesso sono qui». Dante lanciò un’ occhiata a Virgilio, un altro passo da solo, in mezzo alla folla, e il maestro si sarebbe voltato a cercarlo. «Perché?» le chiese. «Perché ti ha ucciso?». «Perché me lo chiedi? Perché a me e non agli altri?». Virgilio, ancora di spalle, un po’ più avanti. Dante si avvicinò alla ragazza, premendosi nella calca che gli si stringeva attorno, cercando di ignorare tutte quelle mani che lo sfioravano, tutti quei bisbigli. «Non lo so» disse, veloce. «Perché sei l’ ultima che ha parlato. Perché non hai detto quasi niente e mi hai incuriosito. No, non è vero ». Dov’ era Virgilio? Avanti, ancora avanti, nella folla. «Non, non è vero, è perché hai detto ricordati, l’hai sospirato, con tanta passione e tanta malinconia che mi ha colpito. Ti ho riconosciuto». La ragazza abbassò gli occhi e sorrise ancora. Dante pensò che fosse quello che le faceva piacere, essere riconosciuta, essere nominata, come se ci fosse, se ci fosse ancora. «Sei Pia de’ Tolomei, la moglie di Nello d’ Inghirano, signore del castello della Pietra». Il sorriso si fece un po’ più forte, più vivo, quando lui nominò il castello. «Lo ero» ripetè lei, ma Dante non l’ascoltò. Scosse la testa, tutti quei bisbigli attorno, quelle mani sulle spalle e sulle braccia, aggrappate a lui per attirare la sua attenzione. Dov’era Virgilio? Dante si infilò ancora più dentro, nella calca. «Ti ha fatto uccidere tuo marito, lo so, lo sappiamo. Ma perché? Ci deve essere un motivo! Tu lo sai, puoi dirmelo!». La ragazza non smise di sorridere, solo il sorriso si appannò appena, come se sul viso le fosse passata un’ombra. Ma non era possibile, perché di ombre, a parte quella di Dante, lì non ce n’erano. «Perché ti ha ucciso?». «Perché lo vuoi sapere?». «Non lo so» disse Dante. «Non lo so» ripetè, pensando, «forse perché hai detto ricordati in quel modo o forse perché sono un uomo e non mi piacciono i misteri, non quelli del mio mondo, almeno. Perché ti ha ucciso?». Dov’era Virgilio? Più avanti, nella folla. Ma si era fermato. Poteva vederlo anche senza voltare la testa, con la coda dell’occhio. Poteva sentirlo. Aspetta, pensò, aspetta ancora solo un secondo, per favore, non ti voltare «Ho perdonato» disse la ragazza. «Lo so. Non saresti qui se non l’avessi fatto. Ma non importa, per me non è questo il punto». Virgilio aveva irrigidito le spalle. Come se stesse per voltarsi. Dante non lo guardò. Sguardo attira sguardo. Guardò la ragazza, il suo sorriso pallido. «È stata colpa tua» disse Dante. «Lo avevi tradito e lui ti ha punito come ha ritenuto giusto fare. Ha mandato un sicario e ti ha fatto uccidere». Un’altra ombra sul sorriso. Veloce, appena appena. Virgilio si stava voltando. Allargava le braccia per farsi strada nella folla, e si stava girando. «Oppure no, non è stata colpa tua ma sua, di Nello. Voleva un’altra moglie, più giovane, più bella, più ricca, un’ altra moglie e si è sbarazzato di te come ha potuto. Ha mandato un sicario e ti ha fatto uccidere». «E che differenza fa? Io sono morta». «La fa per me. Voglio sapere ». Virgilio si era voltato. Aveva anche fatto un passo indietro, e allungato il collo per guardare oltre le teste. Dante si protese ancora in avanti, immerso nelle mani e nelle voci, così vicino alla ragazza, quasi da toccarla. «Ho perdonato» sussurrò lei, con la stessa passione e la stessa malinconia di quando aveva detto ricordati. «Colpa mia, colpa sua perché mi ha ucciso non importa. E poi ». Eccolo, Virgilio. Lo aveva visto. Forse aveva notato un lembo della sua veste o aveva scorto il riflesso dei suoi capelli. Oppure la sua ombra, l’unica. Comunque lo aveva visto e stava arrivando. Dante si spinse ancora più avanti. Ancora qualche bisbiglio e qualche mano a fare da barriera, ancora qualche secondo. La ragazza alzò una mano. Toccò il viso di Dante con la punta delle dita ed era un tocco fresco e sottile, come un alito di vento. «E poi » sussurrò, «se adesso te lo dico, dopo non sarò più niente. Un fatto, una notizia, qualcosa che riguarda Nello, la sua colpevolezza, la sua innocenza, qualcosa per lui quando tornerai nel mondo. E io? Io?». Virgilio si era fatto strada nella folla. La mano che lo toccava sulla spalla era la sua. La voce decisa e forte che si apriva tra le altre e lo chiamava. Non c’ era più tempo. Non c’ era più tempo. «Ti prego» disse Dante nell’ ultimo secondo. «Perché ti sei fermato?» stava dicendo Virgilio. «Non dare retta a questi bisbigli. Abbiamo ancora molta strada da fare e di gente ne incontrerai anche altra». Dante alzò gli occhi in quelli della ragazza. Per un momento non sentì nient’ altro, niente folla, niente mani e niente bisbigli, neanche le dita di Virgilio sulla sua spalla. Per un momento rimasero soltanto lui e lei, e lei schiuse le labbra. Sorrideva, sempre, ma non era solo un sorriso, era anche qualcos’ altro. Stava per dire qualcosa. «Andiamo» disse Virgilio. Tirò indietro Dante stringendolo per un lembo della veste e lo fece così forte che Dante vacillò sulla gambe e quasi stava per cadere. Voltò le spalle alla ragazza ma anche se non la vedeva sentiva che stava ancora schiudendo le labbra, e non era solo un sorriso. Sì, stava per parlare. Virgilio trascinò Dante nella folla. Mani e bisbigli si chiudevano come acqua alle sue spalle, tanti, troppi, tra lui e la ragazza. Fece uno sforzo per voltarsi, quasi strappandosi da sotto alla mano del maestro, per guadagnare un secondo, un secondo ancora. Lei aprì la bocca e la sua voce arrivò fino a lui in un sussurro, forte appena da farsi sentire. «Ricordati di me» gli disse, e poi scomparve.

Dante Gabriel Rossetti, Pia dei Tolomei, c. 1868, Spencer Museum of Art, Lawrence, Kansas

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