Dante e Virgilio

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Virgilio: quel savio gentil, che tutto seppe (Inf., VII, v. 3)

Già nel mondo classico Virgilio era considerato sapiens onnisciente e massimo auctor latino, poeta epico cantore di Roma e della sua grandezza (cfr l’Eneide), maestro di stile e di lingua poetica.
Come sostiene il maggior studioso dell’argomento, Domenico Comparetti, durante il medioevo (ma già a partire dal IV sec. d.C., per ciò che riguarda l’interpretazione cristiana), si afferma la fama virgiliana, che presenta due aspetti:

IN AMBITO POPOLARE
Nella tradizione popolare, V. ebbe fama come mago, veggente, taumaturgo, sapiente che conosce i segreti della natura e ne fa uso a fin di bene. Di tale interpretazione resta un corpus basso-medievale di leggende che hanno come sfondo soprattutto le città di Roma e Napoli, dove il poeta è sepolto. Cfr. la leggenda di Castel dell’Ovo di Napoli.

IN AMBITO DOTTO
Ne corso del medioevo Virgilio fu letto con ammirazione, il che permise alle sue opere di essere tramandate per intero. L’interpretazione dell’opera virgiliana utilizzò largamente lo strumento dell’allegoria: al poeta fu infatti attribuito un ruolo di profeta di Cristo, sulla base di un passo delle Bucoliche (IV egloga), che annunciava la venuta di un bambino (puer) che avrebbe riportato l’età dell’oro.
Ecloga IV, vv. 5-10: “[…] riprende da capo il grande ciclo dei secoli; ora anche la Vergine torna, tornano i regni di Saturno, ora è fatta scendere dall’alto cielo una nuova progenie. Tu dunque, casta Lucina, proteggi il fanciullo che sta nascendo (nascenti puero), per il quale per la prima volta avrà fine l’età del ferro e sorgerà in tutto il mondo quella dell’oro […]”.
Virgilio fu dunque considerato profeta inconsapevole – inscius – della venuta di Cristo. “Naturalmente non a Cristo poteva pensare Virgilio; il puer della quarta Bucolica è identificabile forse – le interpretazioni sono state diverse – con un figlio nascituro del console Asinio Pollione”.
Dante, citando in traduzione nella Commedia (Purgatorio XXII, vv. 67-73 e vv. 79-80) i versi 5-7 della IV Ecloga, farà sua l’interpretazione di Virgilio quale profeta inconsapevole del cristianesimo. Assente invece (secondo il Comparetti) la leggenda che vedeva nel poeta mantovano un esperto di arti magiche.
Anche il VI libro dell’Eneide venne letto nel Medioevo – e da Dante – come un’anticipazione dell’aldilà cristiano.

PERCHÉ DANTE SCELSE VIRGILIO COME GUIDA?

Il poeta latino fu guida (“duca”) di D. nella poesia e nel viaggio nell’oltretomba (fino al Paradiso terrestre, Purg. c. XXX). Nell’opera si evidenzia una sorta di rapporto padre-figlio (13 volte Virgilio viene appellato “padre” da Dante; 13 volte Dante viene appellato “figlio” da Virgilio). Nell’Inferno Virgilio, al di fuori del primo canto (c. I, vv. 67-75), non viene mai chiamato col proprio nome. Il poeta epico latino fu per Dante:

– modello poetico di “bello stile” ed eloquenza, “autore” (auctoritas. Cfr. citazione dal Convivio) e “famoso saggio”.
– poeta che rappresentò nell’Eneide un viaggio oltremondano (Dante agens come Enea, eroe della pietas, ovvero della devozione ed obbedienza alla volontà divina; Dante poeta come Virgilio, Virgilio guida come la Sibilla…)
– cantore dell’impero e di Roma, della provvidenziale fondazione della futura sede del potere temporale (Cesare) e spirituale (il pontefice) grazie ad Enea e alla sua discendenza. Sotto “il buono Augusto” nacque Cristo, fulcro della storia terrena.  Virgilio “in quanto Romano è un rappresentante del popolo scelto da Dio per governare il mondo, e in quanto cantore dell’impero è il poeta che ha celebrato lo strumento che Dio stesso ha deciso per tale azione politica.”. Dante non mette in dubbio la storicità dell’Eneide, cioè la verità storica degli eventi in essa narrati. Quindi il poema virgiliano è per lui una fonte di informazioni credibili e affidabili, da lui puntualmente riprese e inserite in una nuova cornice di tipo cristiano.
– rappresenta nella Commedia l’allegoria della ragione umana, capace di vivere senza peccato, ma priva della luce della Grazia divina (cfr. la sua collocazione tra gli spiriti magni del Limbo, Inf. canto. IV). È saggio per tutto ciò che ha visto (l’Impero), che ha profetizzato (l’ordine eterno e la venuta di Cristo) e reso in poesia (il viaggio nel regno dei morti). È saggio anche perché è Romano e quindi è dotato di iustitia e di pietas.

L’interpretazione figurale (Baldi, Glossario, p. 750; p.312): “Il Virgilio storico, nato a Andes e vissuto a Roma sotto Augusto, è una figura, di cui il Virgilio incontrato alle soglie dell’inferno ed eterno abitatore del limbo rappresenta il compimento, l’adempimento: nell’aldilà, e soprattutto facendo da guida a Dante che rappresenta tutta l’umanità, è diventato in atto ciò che è sempre stato in potenza”. (Gianfranco Bondioni)

Gilbert Highet è uno degli studiosi anglosassoni del XX secolo che alla conoscenza delle lettere classiche unisce quella delle letterature moderne. In questo studio egli traccia «i modi in cui l’influsso greco e latino ha modellato le letterature dell’Europa occidentale e dell’America». 

“La scelta di Virgilio da parte di Dante come propria guida fu suggerita da molte tradizioni (alcune poco, altre molto importanti) e da molti fattori spirituali di profonda rilevanza.
Per prima cosa, Virgilio era, sopra tutti gli altri, il pagano che aveva gettato un ponte sull’abisso tra il paganesimo e la cristianità. Egli aveva fatto ciò in una poesia famosa (Bucoliche, 4) scritta circa quarant’anni prima della nascita di Cristo, nella quale prevedeva la nascita di un bambino miracoloso, che avrebbe segnato l’aprirsi di una nuova età del mondo, una età dell’oro corrispondente ai primi inizi idillici, nella quale non vi sarebbe stato piú spargimento di sangue,
asprezza, sofferenza. Il bambino, cresciuto, sarebbe diventato un dio e avrebbe governato il mondo in perfetta pace.
Questo fatto presentava due aspetti. Il primo esterno. Principalmente attraverso questa poesia singolare, Virgilio acquistava la reputazione di essere stato cristiano prima della venuta di Cristo e di avere, per ispirazione divina, preannunciato la nascita di Gesú. Sant’Agostino credeva questo e molti altri dopo di lui (molti studiosi moderni credono che in effetti Virgilio avesse una qualche conoscenza delle scritture messianiche degli ebrei). Queste convinzioni erano rafforzate da altri fatti interrelati:

1. Tutta l’Eneide (a differenza di altri poemi epici classici) è la relazione del compimento di una profezia grande e favorevole, che portò alla fondazione di Roma.

2. Nel punto piú alto dell’Eneide una profetessa famosa, la Sibilla, appare a consigliare Enea.

3. La Sibilla è menzionata nella poesia precedente di Virgilio (Bucoliche, IV, 4) in connessione con la venuta del divino fanciullo e del regno di Dio.

4. Numerose profezie e apocalissi greche, ebraiche e medio orientali erano apparse nei due secoli precedenti e seguenti la nascita di Cristo, e molte di esse, per dar loro autorità, erano chiamate Libri Sibillini.

5. Nel folclore medioevale italiano Virgilio era conosciuto come grande mago (benché Dante non prestasse attenzione a questo genere di storie).

L’aspetto interno della missione cristiana di Virgilio è piú importante ed è stato studiato spesso. Esso consiste nel fatto che il suo poema non nasce accidentalmente. Era l’espressione di un vero fatto spirituale: del profondo desiderio di pace, della aspirazione inespressa a un mondo governato dalla bontà di Dio piuttosto che dai desideri conflittuali dell’uomo, che si estendeva in tutto il mondo mediterraneo dopo un secolo di guerre terribili. Lo stesso imperatore Ottaviano, alla cui famiglia il divino bambino era indubbiamente legato, fu salutato in molte città del Medio Oriente come un Dio, un Salvatore, come Principe della Pace, e queste designazioni erano evidentemente del tutto sincere, o suggerite da motivi del tutto sinceri. Fu questo desiderio che preparò la via alla espansione del Cristianesimo, ed è un tributo alla grandezza di Virgilio che persino da giovane lo avesse intuito e immortalato in poesia indimenticabile.
Lo stesso carattere di Virgilio è la chiave di questo potere visionario, e dell’immortalità in quanto guida di Dante. Chiunque legga la sua poesia con intelligenza e simpatia, come Dante aveva fatto, riconosceva che – in quasi tutte le cose essenziali, salvo la rivelazione di Gesú Cristo – egli aveva un’anima cristiana. Tanto ciò è vero che in tutta l’Eneide sentiamo che il compito di scrivere un’epica di guerra e di conquista doveva essergli ripugnante. Odiava lo spargimento di sangue. Aveva, e lo impersonò nel suo eroe, una devozione profonda per ideali morali altruistici: il suo pius Aeneas è assai piú idealista che l’irato Achille, l’astuto Odisseo, o persino il patriottico Ettore. Benché di natura appassionata, aveva una singolare delicatezza nelle cose sessuali, che veniva riconosciuta persino nell’errata grafia medioevale del suo nome, Virgilio il vergine. Tutto ciò che sappiamo del suo carattere dai suoi amici e dai suoi biografi antichi, lo mostra come umile e gentile, e gentilmente appassionato. Ma soprattutto ciò che distingue Virgilio dagli altri poeti è il melanconico senso della transitorietà e della irrealtà della vita, e il suo concentrarsi, anche in un’epica di passioni ardenti e di azioni violente, sull’eterno.
Un terzo fattore importante che influenzò la scelta di Dante fu che Virgilio era nunzio dell’impero romano. Per Dante i due fatti piú importanti di questo mondo erano la Chiesa cristiana e il Sacro romano impero. Virgilio aveva annunciato la chiesa e la sua rivelazione soltanto con oscure previsioni profetiche. Ma aveva cantato l’impero meglio di ogni altro. Essenzialmente l’Eneide è la proclamazione dell’impero romano come stabilito dalla volontà del cielo, e destinato a durare per sempre. Questo, pensava Dante, era lo stesso impero che governava l’Europa centrale dei suoi giorni, e che egli aveva glorificato in uno dei suoi due grandi libri in latino, nel De Monarchia, come prova che l’esistenza dell’impero era diretta volontà di Dio. Lo stesso credo appare nel modo piú coinvolgente nella sua descrizione drammatica del cerchio piú fondo dell’Inferno, che è riservato ai traditori dei propri signori. Là Dante vede il traditore supremo, Satana, eternamente immobilizzato nel ghiaccio, che mastica nelle sue tre bocche i tre peggiori traditori della terra. Uno è Giuda Iscariota, gli altri due sono coloro che hanno ucciso il fondatore dell’impero romano, Bruto e Cassio.
Ma a parte l’impero romano come entità politica, Dante amava Virgilio perché Virgilio amava l’Italia. C’è una descrizione superba dell’Italia nelle poesie agresti di Virgilio, che forma il piú alto tributo mai pagato a un paese da uno dei suoi cittadini. Assai piú cupa, ma non meno sinceramente patriottica, è l’apostrofe all’Italia dilaniata, nel Purgatorio di Dante, che viene suggerita dall’affettuoso abbraccio fra il moderno mantovano Sordello con l’antico mantovano Virgilio. Continuamente Dante parla con orgoglio di Virgilio come di un compatriota: il nostro maggior poeta”.
Gilbert Highet, The Classical Tradition, trad. di G. Gherardi, Clarendon Press, Oxford, 1978

«Virgil was, among all authors of classical antiquity, one for whom the world made sense, for whom it had order and dignity, and for whom, as for no one before his time except the Hebrew prophets, history had meaning. But he was denied the vision of the man who could say: Legato con amor in un volume».
T.S. Eliot, What is a Classic? (1944) e Vergil and the Christian World (1951), in On Poetry and Poets, Faber & Faber, London 1957

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